AVVISO AI VISITATORI

A seguito del proposito di un nuovo collegamento funiviario tra Frachey e il Colle Superiore delle Cime Bianche nell'area protetta del Vallone delle Cime Bianche (Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa, SIC/ZPS IT1204220), nonostante il sito rappresenti un impegno ormai ventennale portato sempre avanti con continuità, passione e dedizione, il webmaster non ritiene più opportuno indirizzare migliaia di escursionisti in una valle che non ha imparato ad amare, rispettare e proteggere se stessa, a meno che non intervengano elementi che scongiurino l'ennesimo attacco al suo ambiente.
Alla prima scadenza del dominio ayastrekking.it dopo l'apertura dei cantieri, pertanto, questo non verrà più rinnovato. Contemporaneamente verranno messi offline tutti i servizi associati, il canale YouTube e il forum.

AyasTrekking.it fa parte del gruppo di lavoro "Ripartire dalle Cime Bianche" che ha come scopo lo sviluppo in Ayas di un nuovo modello di turismo sostenibile e attento alle nuove necessità e richieste del mercato nazionale e internazionale.

Il webmaster

Per saperne di più visita il nuovo sito Love Cime Bianche!

Questo messaggio viene visualizzato una sola volta per sessione

Informativa: questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Continuando la navigazione o cliccando sul pulsante OK acconsenti all'uso dei cookie.

RIFUGIO GUIDE D'AYAS: DIARIO DI UN'ALTRA AVVENTURA

Il rifugio delle Guide di Ayas
Il rifugio Mezzalama
Il rifugio Quintino Sella
Salita al rifugio Mezzalama
Salita al rifugio Guide d'Ayas
Traversata del Castore
2 agosto - il giorno della partenza mancata.

Rifugio e fuoristrada prenotati da tempo, allenamento tutto sommato accettabile, attrezzatura sovrabbondante, percorso studiato a memoria e compagnia pronta a tutto: alla fine l'unico a non essere mai salito al rifugio Guide d'Ayas, sulle rocce di Lambronecca, di poco più basso del Quintino Sella dell'anno scorso sono io. Ma sono guidato da Massi, reduce da un corso di alpinismo del CAI (di cui io ho seguito le lezioni teoriche ma non le pratiche per motivi di lavoro) e dalla salita sul Breithorn Occidentale, suo primo 4000, e da Marco, con cui abbiamo già macinato diversi sentieri dall'inizio della stagione buona (praticamente da marzo). Anche lui c'è già stato. Niente a che vedere con l'avventura del Quintino Sella dell'anno scorso, quella sì che ci ha visti impreparati e in parte impauriti... e soprattutto dediti a particolari esercizi di improvvisazione pseudoalpinistica.
Allora, dicevo: tutto prenotato per oggi, ma negli ultimi giorni le indispensabili previsioni meteo si fanno sempre peggiori. "Per me si può andare" diceva Massi fino a pochi giorni fa, ma con la prospettiva di trovare un calo termico di 10°C, neve dai 2900 metri (cioè sotto al Mezzalama), temporali e grandine nel pomeriggio dell'1 ci rassegnamo a disdire tutto. Anzi, a rimandare, perchè da questa sera le cose dovrebbero andare migliorando. Lasceremo passare anche il 3, e il 4 sarà il giorno della partenza. Rifugio ri-prenotato e maggiori possibilità di riuscire.
Le previsioni l'avevano azzeccata: in questo momento, ore 14.04, mentre aspetto Marco per finire una splendida partita in multiplayer ad Age of Empires (attività poco alpinistica), piove, tuona e le nuvole sono talmente basse che da casa a Champoluc non vedo il Crest. Ridicolo pensare che a quest'ora avremmo dovuto essere già lassù... interi?

La partita ad Age of Empires si è risolta con una sconfitta devastante, ma dopo questa intorno alle 18.40 siamo riusciti a prenotare il fuoristrada per giovedì mattina. Partenza alle 8 da St.-Jacques.
Intanto il tempo sembra lievemente migliorare: piove ancora, ovviamente, ma il vento è cambiato come previsto e la base delle nuvole si è alzata. Purtroppo però lassù ha nevicato, e spero che la cosa non ci crei difficoltà.
Uno deglio scopi sarebbe, infatti, riuscire ad andare oltre il rifugio. Venerdì mattina potrebbe essere il momento della mia prima cordata, più che altro come prova e prima uscita, ma se le cose andassero tutte - e dico proprio tutte - per il verso giusto ci piacerebbe andare verso il bivacco Rossi e Volante, che si trova su uno sperone roccioso alla base della Roccia Nera, oppure più probabilmente fino alla base della parete ovest del Polluce. Meno probabile il Colle di Verra, che non è un gran chè battuto, ma adesso l'incognita maggiore è rappresentata dalla neve fresca, che può cancellare le tracce sul ghiacciaio e oltre tutto coprire i crepacci, e in questo caso la nostra escursione oltre il rifugio sarebbe molto breve (o in alternativa molto pericolosa, e la cosa non mi esalta).
Non ci rimane che valutare la giornata di domani e soprattutto le condizioni di innevamento residuo al momento di partire, nonchè ovviamente chiedere maggiori informazioni al rifugio e - perchè no - accodarci a qualche altra cordata.
Nel frattempo ho ripassato un po' di nodi, almeno quelli che serviranno a me come secondo (barcaiolo e Prusik), e inizia l'inventario per la preparazione dello zaino: ramponi, cordini, moschettoni, ghette, guanti, pranzo per due giorni da preparare (la cena sarà in rifugio), sacco letto, torcia. Rimane da aggiungere la piccozza che io non ho ancora, ma che mi sarà prestata da Marco che ne ha una in più e sembra della mia misura.
Il rientro è previsto con calma nel pomeriggio di venerdì, con tappa al Mezzalama. Nessuno ci corre dietro, meteo permettendo, e non è il caso di sforzare le ginocchia in discesa.

3 agosto - il giorno prima della partenza.

Sveglia col sole, finalmente. In realtà le montagne sono ancora sotto le nuvole, ma il tempo va migliorando, anche se la zona del rifugio non si vede. Lentamente la base delle nuvole va alzandosi, e verso le tre del pomeriggio, mentre mi trovo al sole all'Alpe Mezzan con Marco durante un giro per sciogliere i muscoli, nonchè comprare del formaggio d'alpeggio, riemerge anche il Testa Grigia imbiancato. A occhio stimiamo l'altezza della base della neve intorno ai 2900 metri, esattamente come previsto. Non ci conforta affatto sapere che avrà ancora un po' di tempo per sciogliersi prima che noi arriviamo a quella quota, in fondo a 2900 metri non saremo ancora nemmeno al Mezzalama. La cosa potrebbe darci dei problemi, o almeno rallentarci, soprattutto quando arriveremo a vedere la nostra meta sopra le nostre teste, e ci mancherà l'ultimo ripido tratto su rocce malferme. Secondo la tabella di marcia dovrebbero essere circa le 11 o poco dopo, e saremo a quota 3200 metri con già 900 nelle gambe e la pancia vuota, sempre che non decidiamo in cammino di mangiare al Mezzalama.
In effetti non riusciamo a stimare quanta neve ci possa essere; sembra comunque qualcosa in più di una spruzzatina. Valuteremo strada facendo; magari si scioglierà nel frattempo.
Intanto parliamo con Massi, che arriverà a casa mia a Champoluc verso le 7.30. Caricheremo Marco davanti a casa sua e poi ci porteremo a St.-Jacques per l'appuntamento con il fuoristrada, fissato per le 8, ora a cui faremo coincidere l'inizio di questa nuova piccola avventura (almeno per me che non ci sono mai andato).
Il miglioramento del tempo durante il pomeriggio è accompagnato da chiaro vento di föhn. Infatti c'è un residuo di stau del versante svizzero del Rosa che si evidenzia sotto forma di strato nuvoloso poco compatto che rimane aggrappato dal Breithorn al Polluce. Alla fine del pomeriggio esce finalmente il Castore, segno che le cose si stanno forse stabilizzando.
Torno a casa a preparare lo zaino, e una volta riempito è pesantissimo, ma non c'è niente da fare, tutto quello che ci ho messo mi servirà, o ci sono serie possibilità che mi serva. Non posso eliminare nè i ramponi, nè le ghette, o il sacco letto, nè ovviamente tutto l'abbigliamento tecnico da montagna che mi servirà a proteggermi dal freddo dell'alba di venerdì, quando - spero - usciremo per la nostra passeggiata sul ghiacciaio, tracce e crepacci permettendo. E soprattutto la macchina fotografica; lascerò a Massi il compito di scattare foto digitali di ogni centimetro quadrato di panorama come al solito per dedicarmi alla ricerca di qualche scatto più spettacolare con la reflex, sperando magari in un bel tramonto o in un'alba limpidissima.
Vagamente programmata anche la discesa; Marco conterebbe di essere di ritorno al rifugio dopo il giro mattutino intorno alle 10 (ipotizzando la sveglia alle 5), per poi scendere al Mezzalama e pranzare lì; il resto della discesa potrebbe avvenire con calma a piedi fino a St.-Jacques. Ho deciso di sopportare per questi due giorni il peso in più di un paio di semplici scarpe da ginnastica nello zaino, che seppur ingombranti mi dovrebbero permettere di evitare diversi chilometri di marcia su comoda sterrata con gli scarponi rigidi, allo scopo di mantenere il più possibile efficienti i miei piedi che a quel punto saranno come minimo ben provati.
Paure? Controllate, e limitate ad alcuni aspetti per loro natura quasi imprevedibili: meteo, che potrebbe riservarci ancora quella copertura sui ghiacciai. Mal di montagna, che potrebbe colpire qualcuno di noi e costringerci a scendere appena possibile. Condizioni delle mie ginocchia, che a volte decidono di far male senza che sia mai riuscito a capire come prevedere quando e perchè.
E questa è la situazione a 10 ore dalla partenza. Il prossimo aggiornamento... dopo il ritorno.

4 agosto - giorno 1.

Dal momento che mi sono ben guardato dal portare il computer lassù mi sembra evidente che sono tornato più o meno intero. L'esperienza è stata interessante, stimolante e dal mio punto di vista ha aggiunto qualcosa al mio modo di vedere il mio rapporto futuro con l'alpinismo, anche se non tutto è andato per il verso giusto. Ma visto che non mi piace ridurre tutto a due frasi, partiamo dall'inizio.
Ore 7: persiane aperte e sole così splendente che non è ovviamente ancora sorto da dietro il Crest. Allora si va; Massi puntuale alle 7.30, Marco naturalmente addirittura in anticipo e via.
Ore 7.59: fermata del bus di St.-Jacques. Il bus non c'entra niente ma lì abbiamo appoggiato i nostri pesantissimi zaini; Massi ha portato tutta l'attrezzatura che ha compresi i chiodi da ghiaccio e tutti i cordini possibili e immaginabili nel caso qualcuno di noi, per esempio lui che dovrà essere il primo di cordata, finisca malauguratamente per cadere in un crepaccio.
Tutta la neve che è caduta due giorni prima non può che farci ipotizzare qualche difficoltà, come appunto tracce cancellate, crepacci nascosti, salita al rifugio ostacolata ecc. ecc., ma comunque andiamo lo stesso.
Intorno lle 8.30 siamo al Pian di Verra Superiore. L'aria è limpida, non c'è una nuvola, ma su tutte le cime visibili sbufi di neve farinosa lasciano intuire che il vento in quota sia davvero forte. La cosa non ci preoccupa più di tanto perchè la nostra meta non è una cima.
Ci incamminiamo dunque verso il Mezzalama, che sarà la nostra prima tappa. La salita verso la cresta della morena non è mai proprio priva di sudore, ma appena arrivati in cima si apre davanti a noi il grandioso spettacolo dei ghiacciai che si protendono verso la valle, e il bianco della neve fresca sui Breithorn, sulla Roccia Nera, sul Polluce e sul Castore riflette la luce abbagliante del sole.
Non è la prima volta che passiamo di lì e non ci stupiamo, piuttosto quello che ci lascia senza respiro è il vento che scende dalle succitate cime, tutte oltre i 4000 e si sente. L'aria è gelida, sembra inverno, ma il sole ci illumina già e, sballottati a destra e a sinistra sul sentiero largo due spanne, proseguiamo senza esitazioni. Non sarà certo un po' d'aria a fermarci!
A dire il vero, quando arriviamo ai 3009 del Mezzalama due cioccolate bollenti non ce le toglie nessuno. Sorseggiandole mentre il vento fischia alle finestre, discutiamo sul racconto di alcuni alpinisti che abbiamo incrociato mentre scendevano, dopo aver cercato di salire su qualche vetta ed essere tornati indietro, fermati dal vento. Non ci stupiamo, pensando alle bufere che si vedevano già da casa.
Finita la merendina ci riincamminiamo. Più si sale e più il vento rinforza; in pochi minuti siamo finalmente sul bordo del Grande Ghiacciaio di Verra, che dovremo attraversare. Subito prima Massi mi chiede se posso fargli una foto in una finta arrampicata su una paretina, e naturalmente lo accontento. Qualche impressione che non tutto stia andando bene ce l'ho quando, dopo pochissimo tempo passato fuori dalle comode e calde tasche della giacca da montagna comprata per l'occasione, le mie mani sono talmente fredde che tirar fuori i ramponi dalla custodia e infilarli diventa un'impresa piuttosto complessa. E allora eccomi lì: dopo aver disprezzato, aspettato, temuto e atteso questo momento, ci sono: non avevo mai mai messo un paio di ramponi in vita mia nè tantomeno impugnato una piccozza per lo scopo per cui è stata costruita.
In quel punto il ghiacciaio è elementare da attraversare; la traccia è chiara, il ghiaccio è ricoperto da due dita di neve fresca, sappiamo che di crepacci non ce n'è nemmeno l'ombra, e il pendio da superare è praticamente nullo. Ci metto quattro passi a familiarizzare con i ramponi, che subito mi esaltano per la facilità e velocità con cui permettono di procedere su un terreno - il ghiaccio - altrimenti infido, su cui ogni passo andrebbe misurato con estrema attenzione, e con il rischio di scivolare sempre in agguato. La piccozza in questo caso non serve a niente perchè siamo in orizzontale e in completa sicurezza, ma Massi giustamente mi insegna il modo corretto di impugnarla e usarla.
Arrivato a metà ghiacciaio posso cominciare a preoccuparmi d'altro. Sulla nostra testa svetta finalmente il rifugio Guide di Ayas, nostra meta per questa uscita, ma una salita ripidissima su pietraia ci separa dai 3420 metri che dovremo raggiungere. Sappiamo che Marco ha avuto una brutta esperienza in questo punto, con una rovinosa caduta che non ricorda con molto piacere. A questo va aggiunto che la pietraia in questione, che già normalmente è formata da sassi tutt'altro che stabili al loro posto, è in parte coperta di neve fresca. La traccia, ammesso che ci sia, è nascosta, e praticamente siamo costretti a salire come e dove riusciamo. L'unica nota positiva è che siamo riparati dal vento, e la temperatura è addirittura gradevole (per essere a più di 3200 metri, si intende).
Non abbiamo molte alternative; teniamo i ramponi e iniziamo la salita utilizzando la piccozza come si deve per mantenere l'equilibrio e la stabilità. Le punte d'acciaio dei ramponi stridono sulle rocce, mi dispiace un po' per i miei che sono nuovi di pacca e alla loro prima uscita, ma in compenso mi danno una presa e una stabilità che non mi sarei aspettato anche sul terreno bagnato.
La rampa si fa sempre più ripida e il rifugio sembra non arrivare mai; siamo costretti a cercare passo dopo passo l'unico punto buono per salire (foto a sinistra), e finiamo più volte fuori dal tracciato normale, costringendoci poi a traversate in orizzontale per trovare il pezzo buono successivo.
Vediamo alcuni attraversare il ghiacciaio ormai lontano sotto di noi, ma di fronte alla salita tornano indietro. Solo due persone scendono dal rifugio, facendoci capire di quanto siamo fuori strada.
Nell'ultimo tratto di salita stiamo per farci tentare dallo splendido manto nevoso di un canalino, quando una scarica di ghiaccio dalla parete sovrastante ce lo sconsiglia apertamente.
Marco è più avanti rispetto a noi, e lo sentiamo gridare "Mi si è rotto in due un rampone!". Lo vediamo comunque proseguire e arrivare alla meta con quello rimasto, ma non mi esalta pensare che sono della stessa marca dei miei e che condividono la stessa struttura di base (sono diversi solo negli attacchi).
Toccare finalmente il canapone che porta a una piccola serie di passerelle di legno subito sotto al rifugio è allo stesso tempo un sollievo e una conquista, rovinata però dal vento che ricomincia a colpirmi.
Ci portiamo davanti al lato sottovento del rifugio, e così protetti ci decidiamo a consumare finalmente il nostro pranzo. Sono le tre del pomeriggio, la salita ci ha portato via un tempo smisurato.
Tralasciamo i dettagli sulla sparizione del mio sacchetto contenente un tubo di biscotti ancora nuovo, una tavoletta di cioccolato nuova e una iniziata, due formaggini che dovevano servirmi per il pranzo del giorno dopo insieme ad altre 4 fette di pane e un bicchiere da campeggio di alluminio che non si riesce più a trovare, avvenuta in corrispondenza del passaggio di un gruppo di... non lo so, parlavano tedesco. Le alternative sono tre: o l'ho lasciato lì, ma in seguito non c'era più, o l'hanno preso loro per sbaglio, o l'ha portato via il vento, ipotesi non da scartare vista la situazione meteo. Ma di tutto questo mi accorgerò scendendo, sta di fatto che da questo momento non se ne sa più niente.
L'ingresso del rifugio è preceduto da una sorta di anticamera in cui depositare scarponi e attrezzatura e prendere delle ciabatte da usare all'interno. Da dentro, una volta tolti gli occhiali da sole e fatta l'abitudine alla luminosità della sala, non è quasi più possibile guardare fuori, tanta è la luce che ci circonda. L'alta montagna è un regno di luce, tutto è luce, i ghiacciai sono luce, il cielo è luce. Un mondo che la gente di pianura non può nemmeno immaginare.
Tornando a noi, una volta entrati prendiamo possesso dei nostri letti in una camerata da 16 al secondo piano, sotto il tetto. Onestamente speravo in una più tranquilla cameretta, in cui muoverci come ci pare, ma ahimè erano già tutte piene (al rifugio era presente un gruppo appartenente a un corso del CAI, e sicuramente avevano già prenotato da parecchio tempo).
Piazziamo la nostra roba un po' come viene, comunque in pratica io dormirò in mezzo.
Il progetto originale prevedeva che il pomeriggio venisse trascorso a fare pratica di cordata sul ghiacciaio, ma il vento è fortissimo, insopportabile, e ci riduciamo a giocare a carte al caldo (non troppo) del rifugio.
La cena è in due turni, uno alle 18.30 e l'altro più o meno alle 20. Visto che per le mie abitudini, e avendo pranzato alle 15, mi andrebbe bene il secondo turno, mi tocca il primo, ma fa lo stesso.
Dopo cena Massi va a dormire; chiede di fare un pisolino di un quarto d'ora, ma dopo un'ora e mezza, perse altre 4 mani a carte e scattate le necessarie foto al tramonto da dietro i vetri, lo raggiungiamo.
Nella camerata qualcun altro dorme già e non possiamo accendere la luce; infilarsi nel sacco letto non è facile anche perchè in pratica dormiremo vestiti, ma l'operazione si conclude felicemente, se escludiamo un mio errore nel posizionamento del sacco in questione che mi costringerà a rimanere tutta la notte con le gambe piegate.
La nostra sveglia è fissata per le 5, ed è meglio dormire il più possibile. Poco dopo arrivano anche i tanti svizzeri e/o tedeschi, ma alla fine mi secca riconoscere che quelli che fanno rumore più a lungo infischiandosene di chi sta nonostante tutto cercando di dormire sono italiani.
Dal nostro sottotetto possiamo percepire la violenza del vento infernale che passa poche decine di centimetri sopra di noi; allungando una mano possiamo toccare il soffitto inclinato e sentirlo vibrare mentre le raffiche sembrano voler strappare le lastre di rame che ricoprono il tetto. Il rumore del vento è fortissimo; se non fossi in un rifugio di montagna appositamente costruito per resistere a ben altro mi preoccuperei.
Sta di fatto che Marco si addormenta subito e non si sveglierà fino all'ora prestabilita, Massi dormirà a tratti e io invece non riuscirò a chiudere occhio, se non per un piccolo intervallo che posso stimare di circa mezz'ora. Non ho mai sofferto di mal di montagna ma so che può succedere inaspettatamente a tutti; è la prima volta che dormo ad una quota simile e per di più non ho ancora digerito. Sommiamo preoccupazioni per malesseri che non avrò (la cura migliore per il mal di montagna è un immediato e veloce rientro a valle, cosa assolutamente impossibile in quella situazione), letto che non è il mio e che per di più... non è un letto, temperatura sbagliata (in eccesso) per errata valutazione della dissipazione termica del sacco letto, gente che russa, vento che già normalmente mi innervosisce e adesso è fortissimo due spanne sopra di me, un minimo di preoccupazione per cosa faremo il giorno dopo e il quadro che si ottiene è l'insonnia più totale. Esattamente quello che volevo evitare.

5 agosto - giorno 2.

Non dormo, e questo ormai è un dato di fatto. Il problema è che non posso nemmeno fare altro; rotolarmi su me stesso vorrebbe dire svegliare i miei compagni di avventura, giocare a Tetris col cellulare mi sembra fuori luogo, da leggere non c'è niente e poi rendetevi conto che siamo 12 in una stanza grossa poco più di quella in cui dormo normalmente da solo a casa mia (non a Champoluc), ed è andata bene perchè potevamo essere 16. Non mi resta che esaminare il mondo che mi circonda. L'operazione dura tre secondi netti perchè il buio è totale; dall'unica finestra, che è nella stanza a fianco, non entra la minima luce dall'esterno in una notte senza luna. Alla fine mi riduco ad ascoltare il vento, attività molto bucolica non fosse che avrei di gran lunga preferito dormire.
Soffia a raffiche più o meno regolari, e la situazione non sembra cambiare, finchè verso le 2 l'intensità diminuisce. Comincio a sperare che una bella giornata senza vento accolga la mia prima cordata, quando intorno alle 3 la cosa ricomincia, e non smetterà più.
Esaminando le mie condizioni, tutto sommato mi sento abbastanza bene; il mal di testa del giorno prima, probabilmente dovuto al vento forte, è passato, e le uniche cose che devo notare sono un battito cardiaco accelerato e una lievissima nausea. Per giustificare il primo guardo il barometro, che segna 670 mbar; praticamente c'è 1/3 di ossigeno in meno e non sono certo acclimatato. Per il secondo mi immagino semplicemente che andare a letto con la cena ancora da digerire possa essere la causa più probabile; ad ogni modo le cose non vanno peggiorando e non me ne preoccupo più di tanto.
Nel frattempo qualcuno si è alzato e se ne è andato, evidentemente sono partiti per una scalata lunga e impegnativa.
Sto cominciando a riconoscere le persone invisibili che mi circondano da come respirano/russano dormendo, quando alle 4.50 sento il gruppo elettrogeno del rifugio che parte, e vedo le luci del corridoio del piano di sotto accendersi. La giornata comincia.
Ci alziamo e ci prepariamo per scendere, racogliendo tutta la nostra roba nello zaino e piegando le coperte. Solo alle 21.50 saprò che la custodia del mio sacco letto è stata raccolta per sbaglio da Marco, ma poco male, la recupererò prestissimo.
È ancora buio pesto, e le stelle sono le uniche luci visibili fuori. Ben presto però il cielo comincierà a rischiararsi, e i ghiacciai subito a splendere.
Massi in compenso sembra poco sveglio. Dopo essersi alzato è rimasto seduto sul bordo del letto, nella poca luce che c'è sembrerebbe palliduccio. Qualcosa non va?
Riempiti gli zaini portiamo tutto quanto al piano terra per la colazione. Intorno a noi tanti si stanno preparando per partire, c'è un grande armeggiare con imbragature, corde, moschettoni e piccozze.
Il vento è ancora davvero forte, oltre che gelido.
Una bella doppia cioccolata calda è quello che ci vuole, in più pane, burro, marmellata e miele. Colazione direi adeguata a quello che potremmo apprestarci a fare, ma Massi non mangia. Rimane pallido e in silenzio.
Ha mal di testa e nausea, dice. Brutto segno. Sono alcuni dei sintomi del mal di montagna. Proviamo ad aspettare un po', ma la situazione non cambia, mentre le cime cominciano ad essere illuminate dal sole di un'altra limpida giornata in cui anche il Monviso, distante più di cento chilometri, sembra a portata di mano (foto a destra).
Di partire per il Polluce o il Rossi e Volante non se ne parla. L'unica cosa che possiamo cercare di fare è scendere; non possiamo restare lì.
Regoliamo i conti con il rifugio e zaini in spalla.
Fuori dalla porta ci accoglie il solito vento gelido. La discesa inizia subito; il primo tratto è ripidissimo, e ci sono alcuni metri in cui la situazione sembra davvero non essere sotto controllo: il terreno è completamente ghiacciato, scivolosissimo, e spesso senza appigli. Tengo in mano i ramponi, pronti per essere montati appena finito il tratto con le passerelle e la corda, e mi rendo conto che insieme alla piccozza mi impicciano non poco. Ho troppe cose in mano, non riesco nemmeno a tenermi. Scendo lentissimamente, quasi seduto, e mi riduco a fare presa con le mani usando i ramponi da un lato e la picca dall'altro.
Per fortuna il tratto dura pochi minuti; una volta infilati ai piedi i ramponi scendo che è una meraviglia. La neve si è in parte sciolta rispetto alla salita, e adesso bisogna proprio andarsele a cercare le zone innevate per bene, dove i ramponi fanno la presa di cui abbiamo bisogno (foto a sinistra). La neve rimasta è comunque completamente gelata.
Marco non si fida della riparazione del suo rampone (si trattava in effetti solo dello sfilamento della basetta che unisce il tallone alla punta) e procede con i soli scarponi, senza comunque incontrare troppi problemi, tant'è che ci distanzia velocemente e lo ritroveremo al Mezzalama. Massi in compenso sembra essersi abbastanza ripreso; arrivato sul ghiacciaio non perde l'occasione per provare ad attrezzare una sosta inaugurando i chiodi da ghiaccio.
Sembra che si sia trattato di una reazione a qualcosa che c'è nel rifugio, magari qualche sostanza che viene usata per pulire, perchè ricorda di aver avuto lo stesso problema un'altra volta, sempre allo stesso posto: mal di testa e nausea che scompaiono uscendo.
Ci dispiace aver sacrificato l'uscita su ghiacciaio decidendo di scendere subito, ma viste le sue condizioni non si poteva rischiare di salire ulteriormente. Sarà per un'altra volta.
Dal ghiacciaio siamo nuovamente accompagnati dal vento freddo, che tuttavia è meno intenso del giorno prima, e tende a calare man mano che scendiamo, mentre le cime sono ancora abbondantemente spazzate. Al Mezzalama non dà più molto fastidio, si può proseguire senza guanti. Nei pressi del rifugio fotografiamo alcuni camosci, per nulla spaventati della nostra presenza (sono sicuramente abituati a vedere molta gente).
Parliamo con un alpinista che sta per uscire per un'escursione di diversi giorni armato di tutto quello che serve per alpinismo, arrampicata, arrampicata su cascata ghiacciata e sci-alpinismo. Infine Marco decide di fermarsi a pranzare al Mezzalama, mentre io e Massi iniziamo la lunga discesa, appurata anche la sparizione del famoso sacchetto. Ci aspettano ancora 1300 metri di dislivello, oltre ai quasi 400 già fatti.
Arriviamo tutti e due un po' acciaccati a St.-Jacques; Massi ha male ai piedi, mentre io ho le spalle doloranti per il peso dello zaino e il ginocchio sinistro da tenere praticamente rigido, nonchè un accettabile male agli alluci per sfregamento contro lo scarpone durante la lunga discesa.
L'avventura si conclude a casa mia, a Champoluc, verso le tre del pomeriggio, quando finalmente riusciamo a mettere qualcosa in pentola e goderci il meritato riposo.
Massi riparte per Vercelli nel pomeriggio, ma tornerà domenica per restare una settimana, in cui speriamo di farne ancora qualcuna. Magari con meno vento...

6 agosto - il giorno dopo.

Tutto a posto per tutti. La gita non sembra aver lasciato particolari segni, se non la comprensibile stanchezza che andrà calando coi giorni, non fosse che nei giorni successivi, con tempo splendido, di star fermi proprio non se ne parla. Ma queste sono altre storie, visto che si progetta già di tornare lassù...

Hanno partecipato all'avventura del Guide d'Ayas del 4 agosto 2005:
Itinerario alpinistico 1: salita al rifugio Guide di Ayas Itinerario alpinistico 4:
Traversata del Castore
"Piccole storie quotidiane" Rifugio Guide di Ayas