Pieno inverno 2005/2006. L'estate del 2005 è lontana, quella del 2006 ancora più lontana. I giorni sono cortissimi, a metà pomeriggio è buio, la temperatura anche in pianura si alza di poco sopra lo zero. Sembra davvero impossibile che in altri momenti dell'anno si riesca ad andare in montagna in maniche corte, mentre adesso su quelle stesse montagne sfrecciano gli sciatori.
La neve che compone le piste, però, è inevitabilmente artificiale. Sarà il periodo di siccità, saranno i mutamenti climatici, sta di fatto che in pratica l'ultima vera nevicata sia passata da più di un mese, e quindi l'unico modo di rendere possibile la redditizia stagione sciistica è ricorrere all'innevamento artificiale. Il resto della valle è vagamente spoglio, e anche dove i prati sono coperti di neve spuntano qua e là, visibili anche da lontano, inconfondifbili ciuffi d'erba secca.
"Ragazzi, neve ce n'è pochissima, si riuscirebbe addirittura ad andare a camminare... al limite con le racchette" dico a Massi e Marco di ritorno dall'Epifania a
Champoluc. Detto fatto, si parte. Le previsioni meteo sono ottime, sereno e freddo, e non sbagliano.
15 gennaio, ore 8.16. Puntuali come orologi svizzeri io e Massi arriviamo a raccogliere Marco alla stazione di Santhià, come già abbiamo fatto mille volte nel corso del 2005. Il treno è un po' meno puntuale, naturalmente, ma ancora accettabile; ripartiamo e dirigiamo decisi verso la Valle d'Ayas.
Entrati nella conca di Ayas esaminiamo la situazione della neve, e valutiamo le ipotesi su dove andare. Le più valide sembrano essere tre: il lago Lechien, il Facciabella e il Palon di Resy.
Il Lechien è fin troppo basso, l'ultima volta ci sono stato con Marco e l'abbiamo raggiunto in meno di un'ora. Si può fare di meglio!
Il Facciabella è una cima bellissima, ma ci siamo stati da poco, il 30 ottobre (altra giornata spettacolare).
Il Palon di Resy è lì davanti a noi, con i suoi 2640 metri di erba con neve a chiazze. Troppo invitante.
Passiamo velocemente da Champoluc; io e Massi ci prepariamo in casa mentre Marco va a comprare il pane per il pranzo. Scesi dalla macchina ci togliamo la curiosità di misurare la temperatura dell'aria, quando il sole non è ancora arrivato. Saremmo pronti a scommettere su qualche grado sotto lo zero, ma il termometro scende troppo velocemente dalla temperatura dell'abitacolo. 10, 5, 3, 0, -2, -4, -8... ma dove va?? -10, -12... e infine si ferma su -14. Beh, non è il caso di farsi prendere dallo sconforto. L'aria è secca, non c'è vento, e con copertura adeguata è una situazione sopportabile. Peccato solo aver dimenticato a casa giacca e pantaloni da ghiacciaio... ma almeno non la calzamaglia tecnica che già mi ha accompagnato al Guide d'Ayas.
Alle 10 e 10 siamo nel parcheggio di
St.-Jacques, pronti a partire (foto a sinistra).
Non sappiamo che cosa troveremo; il primo tratto di cammino ci porterà a Resy, e il bosco potrebbe essere una lastra di ghiaccio. Oltre all'equipaggiamento standard (parte del quale, appunto, io ho lasciato a casa!) siamo muniti di racchette da neve (tutte nuove di pacca, non ancora collaudate) che fanno bella mostra di sè legate allo zaino, e di ramponi. Dubitiamo che ci possa essere possibilità di usarli, ma se dovesse rendersi necessario non avremo da rimpiangere di aver risparmiato il loro peso. Certo, lo zaino non è leggerissimo, e bisogna anche calcolare il sovraccarico di vestiti, ma è inevitabile! Il freddo è pungente, ma sopportabile. La stessa temperatura con l'umidità della pianura sarebbe impensabile.
I primi passi nel bosco mi fanno rendere conto che:
1) l'allenamento estivo, faticosamente conquistato, è andato a farsi friggere;
2) camminare nella neve scalda! Ben presto, infatti, mi ritrovo a sbarazzarmi del berretto (con le orecchie), e a non lamentarmi più del freddo.
Il terreno è in buona parte innevato, anche se lo spessore è di pochi centimetri; qualche problema ci viene da alcuni punti in cui sotto un velo di neve il ghiaccio non permette la necessaria aderenza agli scarponi. La cosa ci costringe a fare particolare attenzione a dove mettiamo i piedi, e ci rallenta un po'.
Apprendiamo con indicibile amarezza che nel bellissimo (una volta) bosco sopra a Resy è stata costruita una nuova strada, e con altrettanta tristezza ci rendiamo conto che la verdissima e fresca radura nei pressi della fontana dello Scoiattolo è stata di fatto spazzata via. E tutto per rendere raggiungibili in macchina un paio di baite! Vergognoso, indecente.
È inveendo contro il ridicolo trattamento riservato al "nostro" (e di tutte le migliaia di camminatori che l'hanno attraversato) bosco che raggiungiamo Resy, uscendo dal bosco e dall'ombra delle montagna, e potendo finalmente godere dei raggi di sole che ci riscaldano un po'.
Ci fermiamo davanti al
rifugio Ferraro, che è chiuso, beviamo un po' di te caldo e misuriamo nuovamente la temperatura. Eh sì, il sole scalda davvero: -6,2. Eppure non si sente tutto questo freddo; qualche dubbio sul buon funzionamento dello strumento viene spontaneo, ma Massi assicura che il termometro non è starato. Del resto coincide con quanto previsto.
Lo spettacolo del vallone delle Cime Bianche innevato è meraviglioso, e forse gli sciatori che vediamo scendere dal Bettaforca non se lo godono nemmeno.
Salutiamo i gatti del rifugio e ripartiamo lungo la sterrata, un po' in ritardo sulla tabella di marcia (che non esiste).
L'innevamento sul lato soleggiato del Vallone della Forca, in cui ci stiamo addentrando, è scarso; la strada sterrata è in pratica una striscia bianca in mezzo al prato secco. Dietro di noi ammiriamo il Facciabella, la
Falconetta e i due Tournalin.
Presto deviamo dalla strada per il Bettaforca e prendiamo il sentiero che porta al Palon di Resy o ai Laghi di Resy. Più si sale e meno neve c'è, incredibile a dirsi; in diversi punti il sentiero è l'unica striscia di neve in mezzo all'erba... e la cosa si fa ancora più evidente quando usciamo dal livello del bosco.
Siamo fortunatamente pronti a riconoscere dove la neve, comunque battuta da parecchi altri camminatori, nasconde piccole ma insidiose lastre di ghiaccio, e ci riduciamo spesso a camminare di fianco al sentiero, anche se tutto sommato l'erba secca non offre molta più aderenza della neve.
La valle risplende sotto il brillante sole di questa giornata di gennaio; oltre le quinte create dal Facciabella, dal
Corno Bussola e dallo
Zerbion si vedono le montagne oltre la valle centrale. Un leggero velo di foschia si stende sotto i 2000 metri, ma ormai noi siamo più in alto. L'aria è calma e stabile, il cielo completamente sereno e la visibilità è di decine di chilometri. Non sappiamo cos'altro avremmo potuto chiedere; anche la temperatura si mantiene sopportabile, per lo meno in cammino. Riesco addirittura a fare a meno dei guanti.
Più in alto, quando ormai siamo in vista della croce posta sulla cima, il terreno è in buona parte ricoperto di neve, da cui spunta comunque ancora l'erba secca, e così sarà fino alla cima, che non si avvicina mai, non si avvicina mai...
Mi rendo conto di essere stanco; forse sono appesantito da vestiti e zaino, sicuramente è mancanza di allenamento, ma faccio davvero fatica a procedere, e sono costretto a fare frequenti soste.
Sono le 13.40 circa quando finalmente riesco a raggiungere la cima.
Lo spettacolo che ci si offre verso nord non è descrivibile a parole (ma con la foto a sinistra sì); nell'anfiteatro creato dalle cime tra la Gobba di Rollin e il
Castore si snodano le morene imbiancate del ghiacciaio di Verra. Riconosciamo il
Lago Blu, naturalmente ghiacciato, che è stata la meta della nostra prima camminata insieme, dieci mesi prima, i rifugi
Mezzalama e
Guide d'Ayas, due puntini persi nel bianco accecante che li circonda. E naturalmente i tre Breithorn, la Roccia Nera, lo sperone di roccia su cui è posto il
bivacco Rossi e Volante, il
Polluce, e subito sotto di noi il Pian di Verra Inferiore. Siamo stati più volte su questa cima, ma sempre in estate, e non siamo abituati a quell'ambiente innevato.
Interrompiamo la contemplazione di ciò che abbiamo davanti per cedere all'irresistibile impulso di mettere finalmente qualcosa sotto i denti.
Il termometro oscilla tra i -9 e i -10, e si è alzata una bava di vento; mangiare con i guanti è impossibile, e li tolgo per il tempo necessario a buttar giù due panini davvero piccoli e non proporzionati allo sforzo compiuto per salire. Ci metterò molto più tempo, una volta rimesse le mani al caldo, a liberarmi del dolore midiciale dato dal freddo, e l'episodio mi lascerà un taglietto apertosi spontaneamente per il gelo sul pollice destro, tanto piccolo e insignificante quanto fastidioso. Del resto anche Marco, che notoriamente soffre poco il freddo, sembra avere più o meno lo stesso problema.
Nel frattempo sono arrivati in cima anche un ragazzo e una ragazza di Varese; ci informano che il ghiaccio sul sentiero non si è sciolto, ma la cosa non ci stupisce un gran chè, vista la temperatura.
Il tempo passa velocemente, e Marco ha un treno che lo aspetta a Santhià intorno alle 20. Sembra che manchi un'eternità, ma le probabilità di trovare code in autostrada sono alte. Poco prima delle 15 ci decidiamo a lasciare la cima, e riprendiamo il cammino verso valle.
La discesa è molto veloce e a tratti anche divertente; ogni passo sulla neve significa avanzare di almeno il doppio del normale. Ovviamente l'equilibrio non è dei migliori visti pendio ripidino e terreno misto neve/erba gelata, e finiamo a turno a gambe all'aria più volte, ma pazienza, siamo vestiti ben imbottiti...
Il fondo del vallone della Forca si avvicina velocemente, mentre il sole comincia ad avvicinarsi al Facciabella, ma in meno di un'ora siamo sulla sterrata, quasi in vista di Resy.
Massi decide di dedicare qualche minuto a una veloce dimostrazione di autoarresto su pendio; effettivamente il tempo a nostra disposizione non è tantissimo, ma ormai siamo praticamente in paese.
Sono le 16.13 quando raggiungiamo Resy, e gli ultimi raggi di sole disegnano in cielo il profilo del Facciabella.
Lo scenario è meraviglioso, ma la temperatura inizia a crollare, come del resto si poteva prevedere. Una sosta brevissima davanti al rifugio, e inizia l'ultimo tratto di discesa, sul sentiero verso St.-Jacques che conosciamo a memoria.
I primissimi passi sono piuttosto incerti per il ghiaccio, e non ci vuole molto a convincerci che bisogna inventarsi qualcosa di originale per arrivare giù interi. Considerata la situazione e l'equipaggiamento che ci siamo portati dietro (inutilmente, fino a quel momento) valutiamo che perdere cinque minuti per metterci i ramponi può rivelarsi una scelta azzeccata. Mai avremmo pensato di affrontare in quel modo un sentiero che è praticamente la strada di casa...
La scelta si rivela però indovinata; una volta ramponati procediamo velocissimi e senza incertezze anche sul ghiaccio vetroso e sul ripido pendio. La cosa mi esalta parecchio; ci godo un po' meno dove non c'è neve, e siamo costretti a camminare sul terreno. Le punte d'acciaio stridono sui sassi, e mi rassegno a una bella limata prima del prossimo utilizzo.
Sono ormai quasi le 17.30 quando arriviamo a St.-Jacques; togliamo i ramponi poco prima di raggiungere la piazza del paese. La temperatura è di nuovo scesa a -13,9.
Abbiamo due ore e mezza scarse prima dell'appuntamento "ferroviario"; la storia dirà che ce la faremo con ampio margine, perchè evidentemente il traffico degli sciatori si è già smaltito.
Finisce così la piccola avventura che segna in realtà l'inizio di due - speriamo - serie di nuove escursioni, con la prima uscita invernale in assoluto e soprattutto con l'inaugurazione dell'anno escursionistico-alpinistico 2006!
E quando mai ci saremmo sognati di poter salire lassù a metà gennaio?