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A seguito del proposito di un nuovo collegamento funiviario tra Frachey e il Colle Superiore delle Cime Bianche nell'area protetta del Vallone delle Cime Bianche (Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa, SIC/ZPS IT1204220), nonostante il sito rappresenti un impegno ormai ventennale portato sempre avanti con continuità, passione e dedizione, il webmaster non ritiene più opportuno indirizzare migliaia di escursionisti in una valle che non ha imparato ad amare, rispettare e proteggere se stessa, a meno che non intervengano elementi che scongiurino l'ennesimo attacco al suo ambiente.AyasTrekking.it fa parte del gruppo di lavoro "Ripartire dalle Cime Bianche" che ha come scopo lo sviluppo in Ayas di un nuovo modello di turismo sostenibile e attento alle nuove necessità e richieste del mercato nazionale e internazionale.
Il webmaster
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2 settembre, sabato.
Domani si parte. Non abbiamo ancora orari precisi, però abbiamo comunque tutta la giornata per arrivare al solo rifugio. La strada ormai la conosciamo, sappiamo come arrivarci. Dovrebbe teoricamente partecipare anche un collega di Massi con un'amica, ma solo fino al Sella, scenderanno in giornata. Bisogna anche prenotare il fuoristrada fino al Bettaforca (si può fare da St.-Jacques a piedi ma è uno spreco di energie in vista della salita e soprattutto della discesa del giorno dopo); è da questo che dipenderanno i nostri orari. Ipotizziamo un massimo di 4 ore di cammino fino al rifugio, bene o male quanto ci abbiamo messo la prima volta. Ce la potremmo anche fare in meno, ma comunque non abbiamo alcuna fretta. Ne approfitterò per scattare un bel po' di foto, sperando in un bel cielo sereno.
Cercheremo di ridurre al minimo il peso dello zaino, ma l'attrezzatura indispensabile è comunque pesante. Un bel po' di ferraglia, ramponi, piccozza (che non ho ancora comprato e dovrò farmi prestare), moschettoni e un chiodo da ghiaccio a testa (non dovrebbe essercene bisogno, ma non si sa mai...). Poi tutto l'abbigliamento pesante da alta montagna che abbiamo, e inoltre corda, imbrago, cordini e ghette. Aggiungiamo il necessario per il rifugio, sacco letto, lampada frontale, tessera del CAI, una sola macchina fotografica, che sarà la mia EOS 350D ma con la sola ottica standard e tre o quattro schede di memoria. Alla fine saranno 10 chili a testa; possiamo alternarci a trasportare la corda, che pesa un paio di chili. Speriamo di poter lasciare al rifugio qualcosa di non indispensabile, e poi ripassare a prenderlo al ritorno.
Altri miei dubbi riguardano il pernottamento al rifugio... notoriamente nei rifugi io dormo male, vuoi per la quota, perchè qualcuno che russa inevitabilmente c'è, o per la tensione per il giorno dopo, e forse perchè il sacco letto non è proprio comodissimo. Ipotizzo di farmi una camomilla prima di andare a dormire... chissà che aiuti...
Nel pomeriggio definiremo gli ultimi dettagli (tipo quanti saremo di preciso, orario di partenza ecc. ecc.), poi domani mattina si va. Speriamo in bene, ce la metteremo tutta, e siamo pronti a rinunciare e tornare indietro qualora le cose non andassero come previsto. Mi dispiace solo per Marco, so che gli sarebbe piaciuto venire. Beh, penso che non sia impossibile ripetere comunque la cosa l'anno prossimo...
Sera. Zaino pronto.
Alla fine saremo solo io e Massi anche domani, il suo collega ha dato forfait.
Non riesco a togliermi quel po' di tensione che ho accumulato con la preparazione minuziosa della spedizione. Normale, è un po' come prima di un esame, di una gara e cose simili, come quando si sta per affrontare uno scalino, per di più uno scalino atteso da tempo. Ma mi conosco, sono sempre così prima di queste cose... poi appena tirerò giù lo zaino dal fuoristrada al Bettaforca il gusto dell'avventura cancellerà tutto il resto.
Sveglia alle 6.40, partenza alle 7.10. Appuntamento a St.-Jacques alle 9, quindi presumibilmente saremo in cammino intorno alle 9.30. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per arrivare al Quintino Sella, risparmieremo le forze.
Mi lascia un po' sconvolto il mio zaino... c'è stato dentro tutto, dai ramponi al berretto (con le orecchie... non si sa mai che temperatura si può incontrare, anche se per lunedì lo 0 è previsto a 4600...), e nonostante non sia pesantissimo (picca esclusa) è davvero voluminoso. Certo, si ridurrà non appena mi metterò addosso qualcosa.
Ho eliminato tutto ciò che ho giudicato superfluo (e non era molto). L'unico "di più" che mi concedo è il mio lettore MP3. Irrilevante come peso e come dimensioni, potrebbe venirmi utile nel caso non riuscissi a dormire! La musica distende i nervi...
3 settembre, domenica.
Alle 7.10 Massi passa a prendermi e partiamo. Arriviamo come da programma all'appuntamento alle 9 a St.-Jacques, e alle 9.45 esatte iniziamo il nostro cammino verso il Quintino Sella. La giornata è così così, un po' peggio di quanto previsto. Monte Rosa interamento coperto da nubi con base intorno ai 3800, a volte anche meno. Ce la prendiamo comoda per questa parte del "viaggio", è solo una marcia di avvicinamento al rifugio che fungerà da "campo base". Sembra passata un'eternità da quando ci siamo stati la prima volta, dopo un'organizzazione minuziosa della spedizione, con valutazione dei pericoli e delle difficoltà, e sembrano ancora più lontani i tempi di quando guardavamo questo rifugio in cartolina con ammirazione.
Superato il Bettolina Superiore riusciamo ad avvistare un gruppetto di tre femmine di stambecco. Ci appostiamo dietro una roccia per fotografarle, poi ci rendiamo conto che non sono spaventate per niente dalla presenza dei tanti passanti, e riusciamo ad avvicinarci fino a pochi metri di distanza. Si mettono in posa per essere fotografate davanti alle montagna (foto 1), viene spontaneo chiedersi se siano stipendiate dalla regione per far contenti i turisti...
Incrociamo numerosi gruppi che scendono, e chiediamo informazioni a proposito delle condizioni del Castore. Sono parecchi ad aver provato quella stessa mattina, ma quasi tutti sono tornati indietro a causa della visibilità nulla e del vento forte. Parlano però di ottime condizioni del ghiacciaio, e la cosa ci fa molto piacere.
Dopo averla già fatta una volta, la salita al Sella è abbastanza noiosa, con l'interminabile pietraia che porta fino a 3500 metri di quota, seguita però dalla cresta rocciosa famosa anche a causa di alcuni gravissimi incidenti, anche molto recenti. Devo però riconoscere che il canapone che la percorre e funge da corrimano, a cui la prima volta ero rimasto attaccato come una cozza, non è così indispensabile, e mi trovo a camminare sul sottilissimo passaggio aereo quasi senza nemmeno toccarla, e addirittura superare i diversi salti verticali in libera. L'esperienza insegna che ciò che la prima volta fa paura un giorno sarà pane di tutti i giorni... così come lo stesso Quintino Sella da mèta dell'estate 2004 è diventato punto di partenza.
All'arrivo, la prima cosa che facciamo è mangiare; scartato il bieco panino portato da casa optiamo per una bella polenta calda.
Il rifugio ha la bellezza di 180 posti letto, parte in camerette e parte in un grande camerone. A differenza di quanto successo al Guide d'Ayas l'anno scorso, questa volta dormiremo in una camera e non nel camerone. le camerette sono unite a coppie, con una porta ogni due; quelle sul nostro lato del rifugio hanno 10 posti letto, 4 nel livello più basso, 4 in quello intermedio e 2 nel superiore. Non sappiamo se saremo soli o se si presenteranno le altre 18 persone che quella coppia di camere può contenere; nel dubbio prepariamo i letti più lontani dalla porta e vicino alla finestra.
Massi ha sonno, decide di fare un pisolino pomeridiano, mentre io esco a scattare un po' di foto del panorama - sempre bellissimo, anche se il cielo non è un gran chè, - e del rifugio (foto 2).
Nel frattempo il tempo sembra un po' migliorare, il vento spazza via parte delle nuvole, dopo le 17 appaiono la Piramide Vincent, il Balmenhorn, parte dei Lyskamm e dei Breithorn, insomma, quasi tutto il Rosa tranne il Castore.
Massi dorme per buona parte del pomeriggio, e quando si sveglia non sta benissimo. Non è la prima volta che soffre la quota, ha mal di testa (come me, del resto) e un po' di nausea. Non sono bei segni, sono alcuni dei sintomi del famigerato mal di montagna, comunque intorno alle 18.30 usciamo dal rifugio per preparare la corda per il giorno successivo.
La cena è intorno alle 19; io mangio tutto senza problemi, Massi anche, ma continua a non star bene. Nel frattempo nessun altro è venuto ad occupare gli altri letti della nostra stanza, quindi saremo più tranquilli e meno "compressi". Del resto è settembre, è la notte tra una domenica e un lunedì, e il rifugio è semivuoto.
Non tardiamo ad andare a dormire - dopo esserci divisi un'aspirina che non avrà un grande effetto -, perchè la sveglia è alle 5.15 del mattino, la colazione alle 5.30, e dopo la partenza. È il caso di riposare per bene (ma so già che avrò problemi sia ad addormentarmi, e in questo caso verrà utile il lettore MP3, che a dormire dopo).
4 settembre, lunedì.
E infatti come previsto dormirò poco, un po' per la mia sensibilità al letto non mio (e il sacco lenzuolo non aiuta), un po' per il vento forte che intorno alle 4 inizia a colpire con violenza le lamiere della parete ovest del rifugio intorno alla nostra finestra, un po' per il mal di testa - che fortunatamente va calando. La pila del lettore MP3 durerà meno dell'insonnia, e a parte brevi intervalli in cui riesco a dormire passo la notte a guardare il buio e a contare le ore che passano, esattamente come temevo. Verso le tre si cominciano a sentire i primi che escono dalle stanze a fianco (parlano francese) per partire, probabilmente per la lunga traversata dei Lyskamm.
Alle 5.15 le due sveglie puntate suonano. Massi però sta ancora peggio. Ancora mal di testa, ma soprattutto nausea. Io mi alzo e mi vesto velocemente - ancora convinto di partire subito dopo colazione, e tra l'altro finalmente libero dal mal di testa -, lui è molto più lento.
Il sole non è ancora sorto; il cielo è un incredibile tappeto di stelle, un vero spettacolo proibito alla gente di pianura. Non appena a est il cielo inizia a farsi rosa mi precipito fuori armato di macchina fotografica. La situazione è incredibile, meglio di quanto possa mai aver osato di sperare. La visibilità è illimitata, il cielo è cristallino e perfettamente sereno in ogni direzione, anche la Pianura Padana è un tappeto di luci. C'è una grande città illuminata, dalla posizione non può che essere Milano (foto 3). Ma la cosa più incredibile è la temperatura: non fa assolutamente freddo, non c'è più un filo di vento, si può stare tranquillamente fuori dal rifugio - e siamo a 3585 metri di quota, è bene ricordarlo. Intorno a noi diverse cordate si stanno preparando per partire. Qualcuno sicuramente verso il Castore, altri magari scenderanno in Svizzera. Beati loro, penso: qui le cose vanno abbastanza male per Massi. Le sue condizioni non sono migliorate durante la notte. Salta la colazione, e mi vedo costretto a informare il gestore del rifugio che probabilmente la nostra meta dichiarata il giorno prima (il Castore, ovviamente) salterà, e saremo costretti a scendere.
Dopo la (mia) colazione Massi dice che andrà a dormire ancora dieci minuti, sperando in un miglioramento. In realtà dormirà più di mezz'ora, che io passerò affacciato alla finestra della stanza a fianco a guardare altre cordate partire verso il nostro Castore perduto, che inizia a stagliarsi contro il cielo che si imbianca (foto 4).
Le previsioni del tempo avevano ragione. E andarsene da qui appena sarà possibile affrontare la cresta per scendere sarà pesante.
In ogni caso, il rischio è grosso. Non è un gioco, il mal di montagna può uccidere, e il miglior rimedio è scendere velocemente a quote inferiori.
Mestamente ritiro cordini, moschettoni e imbrago, ripiego giacca e pantaloni antivento. Nel frattempo Massi si sveglia, e dice che va un po' meglio. Propone di incamminarci.
Gli rispondo che va bene, che ho già ritirato tutto e sono pronto per partire, basta avvolgere meglio la corda e raccogliere le picche che abbiamo lasciato giù e possiamo andarcene.
"No, intendevo verso l'alto" risponde. Ah... ci proviamo? Sta meglio? Sì, sembra di sì. Proviamo a raggiungere almeno il Colle del Felik, dice. Per me sarebbe già superare per la prima volta i 4000... Bene, allora si parte. Sono le 7.26 quando ci mettiamo in marcia (foto 5) mentre i primi raggi di sole raggiungono il ghiacciaio del Felik, non siamo nemmeno riusciti a pagare il rifugio perchè i gestori stanno mangiando, spero che non ci prendano per ladri non vedendoci più!
Sono quasi i miei primi passi su un ghiacciaio vero, se escludiamo la facilissima traversata di una lingua del Grande Ghiacciaio di Verra per salire al Guide d'Ayas l'anno scorso, ma non ci vedo niente di particolarmente difficile. Il primo tratto è quasi in piano, e supera con pendenza molto dolce i primi 200 metri di dislivello.
Massi è il primo di cordata, è piuttosto lento nel procedere ma viste le sue condizioni va bene così. Ogni tanto ci fermiamo e ne approfitto per scattare un po' di foto dello scenario fantastico in cui ci troviamo immersi.
A nord-ovest del rifugio, nei pressi della parete est della Punta Perazzi, c'è una zona con diversi crepacci (foto 6), ma fortunatamente le nevicate delle settimane precedenti hanno formato solidi ponti, e la traccia li supera senza problemi. In ogni caso non indugiamo troppo quando ci rendiamo conto di essere sul vuoto!
Sono ormai passate le 9 quando arriviamo alla base del versante sud del Colle Felik, dove inizia il (breve) tratto che con due tornanti a cavallo dei 4000 porta in cresta. Qui rallentiamo un po' per la pendenza, ma procediamo senza troppi problemi nonostante l'inclinazione (circa 40°) della parete che stiamo risalendo. Con una colorita espressione Massi sottolinea il suo arrivo in cresta. "Com'è, fa paura?" gli chiedo, immaginando uno strapiombo verticale dall'altra parte, con vista vertiginosa sui maestosi seracchi del Ghiacciaio del Lys. "No, però sul subito fa impressione" risponde. In effetti il primo impatto è notevole (del resto io non ho mai visto di persona un posto del genere), ma subito dopo la cresta si fa meno affilata, e bisogna anche riconoscere che la traccia è larga e c'è spazio più che abbondante per entrambi i piedi (foto 7).
A dire il vero io sono più preoccupato dal Colle Felik; da sotto si vede solo una cornice di neve che domina una parete di ghiaccio quasi verticale, e non ho idea di cosa ci sia dietro. Lo ammetto, non mi sono informato prima... in ogni caso la mia preoccupazione è infondata: appena finita la crestina apprendo con piacere che dietro la cornice c'è un dolcissima conca ghiacciata quasi in piano (foto 8), sufficientemente grande da contenere un campo da calcio. Da qui inizia anche la traccia che porta al Lyskamm (itinerario alpinistico 10).
Scendiamo al colle e risaliamo finalmente sulla cresta sud-est del Castore. Prima della vetta ci aspettano due anticime e tre creste; la distanza che ci separa dalla mèta non è enorme, è difficile rendersene conto ma avendo come riferimento le persone che compongono le cordate che scendono si capisce che non siamo lontani. Mi rendo anche conto di non avere alcun problema di respirazione; probabilmente procediamo a una velocità talmente lontana dal mio massimo che non sento la differenza. Quello che toglie il fiato invece è il panorama sul versante svizzero, che va apparendo man mano che ci si allontana dal Colle Felik. Ammetto l'ignoranza, non conosco affatto i nomi di molte delle cime che vedo, ma lo scenario di cime e ghiacciai che si stendono davanti a noi è di una bellezza disarmante (foto 10). Non lo so descrivere.
Ci hanno spesso parlato male di questa cresta, avevamo sentito che è affilata è pericolosa, che non c'è posto per appoggiare i piedi e cose simili. Certo, siamo sul ghiaccio, e le condizioni cambiano continuamente. Però evidentemente siamo fortunati, la traccia è evidentissima e larga, e il posto per gli scarponi c'è in abbondanza. Gli unici problemi sorgono quando dobbiamo incrociare altre cordate, e siamo costretti a farci un po' di lato.
In ogni caso procediamo tranquillamente, non abbiamo una grande fretta e nessuno ci insegue. Si è alzato il vento, però. Inizia a dare parecchio fastidio, bisogna fare attenzione a non farsi destabilizzare.
Alle 11 siamo finalmente in cima al Castore. Non c'è un grande spazio per fermarsi, e il vento è piuttosto forte. Visto che è sempre meglio eccedere in prudenza, Massi pianta un chiodo da ghiaccio nei pressi della cima e ci assicura la corda che ci lega, dandoci una maggior sensazione di sicurezza, che ci permette di fermarci e fare un bel po' di foto senza problemi. Diverse altre cordate arrivano dal versante ovest. Nessun italiano, come del resto ce n'erano pochini al Quintino Sella. Molti parlano tedesco, potrebbero essere svizzeri; altri sono inglesi, uno addirittura finlandese.
Facciamo scambio di foto con un'altra cordata (anglofona); io fotografo loro, uno di loro scatta la foto ufficiale della nostra conquista del Castore (foto 11).
Per Massi è il terzo 4000, dopo il Breithorn Occidentale e la Punta Gnifetti, ma è comunque un traguardo interessantissimo. Per me è invece un giro di boa: il primo 4000 in assoluto, la prima vera uscita alpinistica su ghiacciaio. E, tutto sommato, devo ammettere che è stato abbastanza facile, più del previsto, e nemmeno faticoso. Evidentemente due anni di allenamento e preparazione a qualcosa sono serviti!
Ben presto viene il momento di scendere. Il ritorno non sarà più difficile della salita; sarà ovviamente più veloce, e il Castore mi sembrerà ancora più piccolo.
Prima di lasciare il confine svizzero mi concedo la salita di pochissimi metri sul panettone nevoso a est del Colle, la Punta Felik, e poi iniziamo la ripida discesa di circa 200 metri fino al grande falso piano del ghiacciaio di Felik.
Una volta scesi al di sotto della cresta ci rendiamo subito conto di una cosa inaspettata: fa un gran caldo. Arrivati alla base dei tornantini ci fermiamo a toglierci parte dell'abbigliamento pesante che abbiamo addosso. Lo strato superficiale del ghiacciaio è tutt'altro che solido, sembra una granita più che un ghiacciaio. Il pensiero va ai ponti sui crepacci che dovremo attraversare di lì a poco: in che condizioni saranno?
Li raggiungiamo piuttosto velocemente, e li superiamo con attenzione uno ad uno: Massi davanti, io dietro con corda tesa e pronto a piantare la picca in caso di cedimento. Non ce ne sarà bisogno, comunque, evidentemente sotto la neve molle il ghiaccio è ancora solido.
Mi tolgo i guanti per l'ultimo caldissimo tratto, già in dirittura d'arrivo alle spalle del rifugio, e li tengo in mano per non dovermi fermare e togliere lo zaino. Dopo un po' mi rendo conto di averne perso uno. Accipicchia, sono quasi nuovi... mi giro e fortunatamente lo vedo là, sulla traccia, poche decine di metri indietro. Bene, torniamo a prenderlo. Così sperimento anche l'emozione di fare il primo di cordata!
Le ultime centinaia di metri di percorso sono costellate di pozzanghere; il ghiacciaio è davvero ridotto male in questo meraviglioso giorno di fine estate. I ramponi fanno pochissima presa, è come non averli.
E una volta arrivato al rifugio, posata l'attrezzatura, mi accingo a togliermeli quando mi accorgo che... ne ho perso uno! Ma come è stato possibile? Come ho fatto a non accorgermene? E soprattutto dove, quando? Sicuramente nell'ultimo tratto. Ehi, i ramponi costano... e allora indietro, questa volta solo e anche senza il rampone residuo (comunque è un tratto che non presenta alcun pericolo). Niente, non lo trovo. In lontananza vedo scendere saltellando un ragazzo che poco prima avevamo incrociato, stava andando - senza attrezzatura e da solo - a vedere il panorama da poco più su del rifugio. Continuo a seguire la traccia, finchè non mi sembra che abbia qualcosa in mano. Si avvicina... eh sì, si direbbe proprio il mio rampone sinistro! Mille ringraziamenti più che meritati... L'ha trovato voltato in direzione della salita, per cui non posso averlo perso se non nel momento in cui sono tornato indietro per raccogliere il guanto che mi era caduto. Come alpinista... perdo davvero i pezzi.
Va beh, ce ne torniamo ognuno dai propri compagni. Prima di ricominciare a scendere ci possiamo concedere un piccolo momento di relax, toglierci parte dell'abbigliamento da alta montagna, mangiare qualcosa e soprattutto pagare il rifugio.
Fa davvero caldo. Inaspettato in settembre a questa quota.
Più tardi riprendiamo la via verso casa. La discesa fino al Bettaforca ci prenderà un paio d'ore di marcia; peccato solo che non siamo riusciti a combinare un appuntamento con il taxi fuoristrada e ci tocchi scarpinare ancora fino a St.-Jacques, farci tutto il lungo Vallone della Forca e poi scendere da Resy... un calvario!
Durante la discesa possiamo praticamente dire di aver incontrato più stambecchi che persone. La cosa sarebbe anche positiva, non fosse che ben prima di Resy ginocchia, muscoli e piedi cominciano a dare vistosi segni di cedimento. Ma ce la faremo, seppur doloranti, portandoci a casa anche il nuovo record di dislivello in discesa: la bellezza di 2535 metri. E non credo proprio che miglioreremo il primato molto presto...
La giornata comunque si conclude come tante altre, con il ritorno a casa al tramonto, ma questa volta ci rimane ancora un piccolo compito: renderci conto che finalmente ce l'abbiamo fatta, che la sfida è stata raccolta e vinta. E sentirla finalmente un po' anche nostra, quella piramide di roccia e ghiaccio che abbiamo sempre guardato dal basso...
5 settembre, martedì.
Si ritorna alla vita di ogni giorno. I postumi della sfacchinata sono limitati, e tutti dovuti più che altro alla lunghezza della discesa: gambe affaticate, piedi doloranti... ma niente di eccezionale.
E personalmente devo dire che... l'idea di tornare sul Castore, magari l'anno prossimo, non mi dispiace affatto!
Hanno partecipato alla spedizione sul Castore del 3-4 settembre 2006:
Descrizione del percorso: Itinerario alpinistico 3.