Sembrava già che quest'anno l'avessimo scampata. Palon di Resy in gennaio, Falconetta in febbraio, e tutto quasi senza neve. Ma si sa, l'inverno prima o poi arriva, tant'è che da fine febbraio in avanti una serie di nevicate riportano la valle ad assumere il colore che più è naturale in questa stagione, il bianco. E non si tratta di una cosa di poco conto: mezzo metro a Champoluc, più di 80 centimetri sulle piste. Alè, ci risiamo... il disgelo dovrà ripartire da capo.
Non sia mai detto però che noi rudi camminatori ci facciamo fermare da un po' di neve. Dal rischio valanghe magari sì, tant'è che rinunciamo a un'uscita perchè il pericolo è valutato tra il 4 e il 5 (la scala arriva fino a 5).
Una settimana dopo il rischio è ancora 3, ma non fa niente... andiamo lo stesso. No, non siamo dei disgraziati nè degli imprudenti. Rimarremo a bassa quota, nel bosco, in zona conosciutissima. Sarà anche l'occasione buona per sperimentare le nostre racchette da neve, già portate fino in cima al Palon di Resy senza che venissero poi effettivamente utilizzate.
Sabato. Previsioni per domani concordanti: vento da nord, freddo, ma sereno. Bene, si parte. Appuntamento come al solito con Marco alle 8.16 alla stazione di Santhià.
Proprio questa cosa del vento, però, ci appare subito un po' problematica. Già in pianura è molto forte, sull'autostrada costringe a continue correzioni di traiettoria, nemmeno fossimo in aereo. Mah... vediamo un po'...
Prima di imboccare la Valle d'Aosta vediamo un elicottero in volo; ci chiediamo che cosa glielo faccia fare, ma ci rendiamo conto che si tratta di un mezzo antiincendio. Sapremo poi che in effetti c'era un incendio a ovest di Ivrea, e non ci vuole molta immaginazione per capire che un vento del genere non può che alimentare le fiamme.
La meta che abbiamo scelto questa volta è semplice da raggiungere e arcinota: Resy.
Ci fermiamo un momento in piazza a Champoluc, poi tappa veloce a casa mia. Notevole la bufera di neve che devo affrontare per attraversare il giardino. Ci stupiamo un po' di vedere tanta gente in giro per il paese con gli sci in spalla, ma non dovrebbero essere sulle piste?
A St.-Jacques (foto
a sinistra) cominciamo a sperimentare gli effetti di questo vento micidiale. Quasi impossibile rimanere senza guanti e senza berretto; dobbiamo metterci addosso tutto quello che abbiamo. A volte è difficile anche mantenere l'equilibrio, e basta lasciare un guanto appoggiato sullo zaino per doverlo rincorrere per il parcheggio. Ma non siamo qui per farci mettere paura, zaino in spalla con racchette legate pronte all'uso e partiamo.
Qualche decina di metri dopo l'inizio del sentiero ci rendiamo conto che la neve è farinosissima e davvero alta, più di mezzo metro. Inutilmente faticoso proseguire così, ci fermiamo e affrontiamo finalmente la questione racchette.
È la prima volta per tutti. Non abbiamo nemmeno idea di come si fissino agli scarponi, e solo Massi le ha regolate sulla misura adatta. Bel colpo... l'ideale farlo in mezzo alla neve!
Massi è il primo a decidersi a metterle e il primo a ripartire, senza troppi problemi; io e Marco ci rendiamo conto dopo pochi passi di averle lasciate troppo larghe, e siamo costretti a fermarci a stringere gli attacchi.
Una volta finalmente muniti di tutto il necessario iniziamo a prendere confidenza con il nuovo mezzo. Con la neve così soffice è impossibile non sprofondare almeno per qualche centimetro; troviamo faticoso ma accettabile l'avanzamento, considerato anche che la pendenza del sentiero è notevole. Riconosciamo la traccia perchè la troveremmo anche ad occhi chiusi, ma non ci sono impronte. Nessuno è stato qui prima, e ci alterniamo in testa al gruppo per battere il sentiero. Beh, alla fine è anche divertente... Proviamo ad affrontare qualche tratto più ripido sganciando il tacco, ma oltre una certa pendenza finiamo inevitabilmente con la faccia nella neve, meno male che è alta e morbida!
Incrociamo la nuova sterrata che porta a un gruppo di baite, e lì troviamo le uniche impronte dell'intera mattina. Non c'è nessuno a parte noi.
Il vento continua a soffiare, da tutte le cime intorno a noi si alzano lunghissimi pennacchi di neve. Dalla nostra posizione (foto
a destra) non vediamo i ghiacciai del Rosa, ma il Facciabella, il monte Croce, i Tournalin, il Roisettaz sembrano degli inaccessibili 8000, circondati come sono da una nube di neve alzata dal vento. Il sole invece picchia sodo, del resto è quasi metà marzo. La luce è abbagliante, la visibilità perfetta, e non potrebbe essere altrimenti; la temperatura si fa via via più accettabile, e se non fosse per l'onnipresente vento gelato probabilmente potremmo toglierci qualcosa da addosso.
Sono piuttosto stanco quando arriviamo in vista di Resy; Marco è abbastanza fresco, Massi in compenso è ancora stanco dai chilometri di corsa del giorno prima. Comunque è ora di pranzo e urge panino. Anzi, per prima cosa urge riparo: impossibile utilizzare il tavolo di fronte al rifugio Ferraro (che è chiuso), perchè con la neve che c'è praticamente camminiamo al suo livello. Ci accampiamo quindi sulla scala esterna che porta al primo piano del rifugio, al riparo dal vento, libera dalla neve e meravigliosamente esposta al sole.
La situazione è assolutamente gradevole; ci godiamo il nostro pranzetto senza bisogno di guanti, con lo spettacolo della Val d'Ayas completamente imbiancata, e l'insolita ambientazione invernale per un luogo da noi ben conosciuto in veste estiva.
Abbiamo a portata ottica diverse piste da sci, ma ci rendiamo conto che sono deserte. Guardando bene notiamo che il grande parcheggio a nord di Champoluc è quasi vuoto. Sapremo poi che gli impianti sono chiusi per il forte vento, e che le uniche seggiovie in funzione sono quelle che partono da Estoul, ben lontane da noi.
Durante il pranzo il vento sembra perdere forza. E non è un'illusione data dalla nostra posizione, riparata dal rifugio, anche le bufere sulle cime sembrano decisamente ridotte. Valutiamo la possibilità di allungare il percorso.
Proseguire nel Vallone della Forca ci esporrebbe ad un rischio valanghe troppo alto. Raggiungere il Pian di Verra Inferiore, invece, sembra essere realizzabile. Il percorso è quasi tutto nel bosco, dovrebbe essere fattibile.
È poco prima delle 15 quando ci rimettiamo in cammino; non è prestissimo, ma sappiamo di avere ancora almeno tre ore comode di luce per percorrere un itinerario che normalmente ne richiede circa una. Il cielo limpido ci permetterebbe comunque un minimo di visibilità anche ben dopo il tramonto.
Quello che non abbiamo, in compenso, è la più pallida idea di dove andare. Poche decine di metri dopo l'uscita da Resy, infatti, il sentiero non esiste già più. Vero che sappiamo perfettamente che direzione dobbiamo tenere, però non c'è nessuna traccia. Sappiamo di dover salire di qualche metro, e questa volta non la sbagliamo, perchè poco dopo incontriamo un cartello che ci indica che siamo sul sentiero.
È anche vero che da lì in poi non troveremo più niente e ci arrenderemo ben preso all'idea che il sentiero è stato perso del tutto, ma non fa differenza, perchè il pendio è tutto uguale. Procediamo verso il Pian di Verra sperimentando punti di vista sconosciuti; sappiamo di attraversare boschi e pietraie che non abbiamo mai visto da vicino (foto
a destra).
A dire il vero non siamo proprio del tutto al riparo dal rischio valanghe; ci sono tratti completamente fuori dal bosco e il pendio sopra di noi è bello carico di neve (foto
a sinistra). Vediamo di attraversare più velocemente possibile queste zone, e presto arriviamo in vista del Pian di Verra.
"Siamo più alti del sentiero", "No, siamo più bassi", l'idea squisitamente escursionistica dello stare sulla traccia non ci ha abbandonati... manteniamo comunque la nostra quota finche non notiamo che il punto in cui il vero sentiero incontra la sterrata sottostante è stato sicuramente superato; questo significa che se prima eravamo più bassi e ora più alti l'abbiamo sicuramente incrociato, ovviamente senza accorgercene. Poco male, il pianoro è sotto di noi.
Scendiamo dritti lungo il ripido pendio, divertendoci come bambini (a 30 anni suonati, per me) a scivolare con le racchette come con gli sci, e finendo inevitabilmente per rotolare nella neve alta quando l'equilibrio viene a mancare. Marco è il terzo, e ha modo di osservare alcune gustose scenette.
Arrivati in fondo al pendio ci accorgiamo ancora una volta di avere sbagliato qualcosa, ci troviamo in una piccola conca di cui ignoravamo l'esistenza. Risaliamo quindi sulla crestina e scendiamo finalmente al Pian di Verra all'altezza del ponte.
L'intensità del vento è accettabile; la temperatura, considerato anche quello che abbiamo addosso, addirittura gradevole. Ci fermiamo per scattare alcune foto a questa zona che conosciamo talmente bene in estate da non notare più nemmeno. Tutti i 4000 che separano la Val d'Ayas dalla Svizzera sono fuori dalle nuvole di neve che li coprivano ad eccezione del Polluce. Vediamo anche i rifugi Mezzalama e Guide d'Ayas, mentre continuiamo a non riconoscere il bivacco Rossi e Volante benchè sappiamo perfettamente dove cercarlo, sotto la Roccia Nera. In ogni caso è una delle mete programmate per quest'estate. La neve evidenzia i particolari della Rocca di Verra, mentre l'ombra di questa inizia a stendersi sulla conca del Lago Blu.
Immersi in questo meraviglioso scenario dal sapore vagamente nordico (foto
a destra) incontriamo due signori di Biella, che avendo forzatamente rinunciato allo sci hanno deciso di raggiungere il Pian di Verra. Il fatto che abbiano semplici scarponi ci fa dedurre che la sterrata sia tranquillamente percorribile senza racchette, ma decidiamo comunque di tenerle anche per migliorare la confidenza con queste cose che ci troviamo attaccate ai piedi, ingombranti ma tutto sommato comode e pratiche, e che ci hanno permesso (e in futuro permetteranno!) di vivere nuove esperienze in montagna.
Ricevo una telefonata dai miei vicini di casa a Champoluc; non mi hanno visto arrivare e immaginano che la porta del mio terrazzo - che confina con il loro - sia stata aperta dal vento; no no, l'ho ovviamente aperta io, non c'è bisogno di chiuderla, passerò ancora da casa prima di andarmene.
La discesa verso St.-Jacques è comoda e veloce, anche perchè la strada è battuta e non sprofondiamo nella neve; ci concediamo anche il taglio di qualche tornante per fare prima.
Un po' prima delle 17 entriamo nell'ombra dei Tournalin, e poco dopo raggiungiamo Blanchard.
Anche questa volta la gita è finita. La camminata non è stata nè lunga, nè difficile, nè in posti sconosciuti, e non ha aggiunto molto alla nostra conoscenza della valle se non la consapevolezza che con questi aggeggi ai piedi - e con un attento studio delle condizioni meteorologiche e del rischio valanghe - forse la stagione delle camminate in montagna può essere estesa anche ai periodi in cui la neve ricopre ogni cosa, e i semplici scarponi non sono sufficienti.
A dire il vero l'idea di scendere non ci esalta più di tanto; optiamo per prolungare la permanenza in valle con una bella pizza in loco.
Quando inizia il vero viaggio di ritorno - considerato anche il passaggio da Biella per riportare Marco a casa, non essendoci più treni disponibili - non possiamo che notare che la temperatura a Periasc è crollata a -12 gradi. È proprio vero che l'inverno non è finito, ma in qualche modo abbiamo anche scoperto il sistema di sfruttarlo!